
Serie A, 11 club posseduti da fondi
“Circa la metà della 40 squadre che giocheranno tra Serie A e in Serie B saranno controllate da fondi di investimento o da proprietà straniere che quand’anche sono dinastie familiari non possono dirsi certo tifose di quella squadra da sempre.”. In un editoriale a firma Luciano Mondellini direttore responsabile di Calcio e Finanza, si annuncia il passaggio del Monza dalla Fininvest dei Berlusconi agli americani del fondo Beckett Layne Ventures.
Nello specifico – si legge su Calcio e Finanza – per quanto concerne la categoria maggiore, dopo l’acquisizione dell’Hellas Verona da parte degli statunitensi di Presidio Investors (e mentre non sembra sbloccarsi il passaggio dell’Udinese dai Pozzo) sono 11 i club posseduti da fondi o magnati venuti dall’estero, ovvero la maggioranza assoluta:
- Atalanta (in coabitazione coi Percassi che hanno il 38%)
- Bologna
- Como
- Fiorentina
- Genoa
- Inter
- Milan
- Parma
- Pisa (in coabitazione con Giuseppe Corrado che ha il 25%)
- Roma
- Verona
La Juventus, per quanto controllata da Exor che ha sede nei Paesi Bassi, non è stata inclusa in questo elenco perché il suo socio ultimo di maggioranza è la Dicembre dei tre fratelli John, Lapo e Ginevra Elkann che ha sede a Torino. Questa ha nella catena di controllo dell’impero industriale che fu dell’Avvocato la maggioranza relativa della Giovanni Agnelli BV (la cassaforte olandese della dinastia Agnelli-Elkann) che a sua volta detiene la maggioranza assoluta di Exor che poi detiene il 65% della Juventus.
Allargando gli orizzonti però la cosa più intrigante è che anche in Serie B ormai quasi la metà dei club (8 su 20) afferisce a proprietà straniere o a fondi di investimento: Cesena, Juve Stabia, Palermo, Monza, Padova, Venezia, Padova, Spezia, Sampdoria.
Insomma, tenendo presente che anche laddove ci sono famiglie proprietarie straniere e non fondi (come nei casi di Roma, Bologna o Fiorentina), queste hanno messo soldi non perché tifose di quella squadra bensì in una logica di investimento, si può concludere quindi che metà del nostro calcio d’élite è in mano a persone che hanno acquistato club per fare del business. Poi, che per una sorta di paradosso, tra quelli che hanno fatto probabilmente meglio in termini di bilanciamento tra lato economico e quello sportivo vi sia un alfiere del cosiddetto modo tradizionale come Aurelio de Laurentiis (che però ha idee gestionali molto moderne) è una ulteriore conferma che non esistono regole definite e modelli vincenti a priori nello sport. La realtà è che si va palesando quindi un trend sempre più marcato verso il calcio business. (Calcio e Finanza)
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