
Rivalità antiche, Bari, Lecce, Conte
Sono Cristiano Carriero, lo storyteller, di mestiere incollo le persone ai testi. Come ci riesco? Con il collante più forte che conosco: una storia raccontata con le parole giuste. E sfogliando sfogliando s’incontra una storia interessante che riguarda Bari e Lecce. Ma anche Antonio Conte. E quindi, oggi, anche il suo Napoli: Leggiamo insieme?
LECCE-BARI, 17MAGGIO 2008-U — Bàr iè fort (?)
Per molti di loro è stato, sportivamente parlando, il giorno più bello della vita. Per molti di noi anche. Ma queste sono frasi di circostanza. Si dicono finchè non ti ricordi un’altra partita, un altro derby sofferto e poi vinto, un altro viaggio con gli amici. Ma vincere a Lecce da sempre un certo gusto, specialmente quelle (poche) volte che parti con gli sfavori del pronostico e ti accingi a rovinare una festa già pronta e a buttare all’aria una tavola imbandita e apparecchiata. Certo è che il calcio è fatto anche di piccole grandi soddisfazioni come questa e poco importa se, dopo i play off, i salentini in A ci sono andati lo stesso e meritatamente. Ma il 17 maggio del 2008 è una data troppo importante per i tifosi del Bari. Si gioca, a 3 giornate dalla fine del campionato di serie B, un derby che per loro vale la serie A diretta, la promozione, la festa e l’approdo nel calcio che conta. Per noi vale qualcosa di diverso, troppo spesso dimenticato nel calcio, troppo spesso sostituito da cose che nulla centrano con lo sport: l’orgoglio. Il Bari non ha particolari interessi di classifica. Ormai è salvo, ha reagito bene ad un girone di andata disastroso e gioca per la gloria. In quel pomeriggio di maggio, e mi sento di ringraziarli adesso, una volta di più quei giocatori, il Bari gioca per la maglia, per i colori, per la bandiera. Biancorossa. E gran parte del merito è di un allenatore che lascerà il segno a Bari e non solo per la promozione del 2009. Antonio Conte ha riportato a Bari entusiasmo, voglia di correre e lavorare, professionalità e tanto orgoglio, arrivando a motivare giocatori dati per finiti (Stellini), atleti non considerati adatti al calcio professionistico (Kamata) e giocatori con una tecnica individuale non eccelsa (Santoruvo). Ed è così che il Bari si presenta a Lecce con la rabbia di chi vuole vendicare la pesantissima sconfitta della partita di andata. Pochi giorni prima di Natale, con Materazzi in panchina, il Lecce ha passeggiato sul cadavere del Bari costringendo molti spettatori ad abbandonare lo stadio a dieci minuti dal termine. Uno smacco troppo grande da poter digerire.
Antonio Conte conquista la panchina del Bari due giorni dopo e inizia a lavorare alacremente sulla psicologia della squadra. Una squadra sfiduciata, in disarmo, con pochissime possibilità di salvarsi. Specialmente perchè molti baresi (che Dio benedica la memoria) vedono in Conte un allenatore fallito, che nella sua carriera ha ottenuto solo una retrocessione con l’Arezzo (ma molti dimenticano che Conte saltò 10 partite e quando tornò sulla panchina dei toscani stava per riuscire nel miracolo di salvare la squadra) e soprattutto un allenatore… leccese. Sono in molti infatti a criticare la provenienza dell’ex capitano della Juventus, ignorando che si tratta di un grandissimo professionista, come se chissà per quale interesse il mister avesse dovuto remare contro i suoi stessi interessi. Ma Conte è un tipo motivato, con degli obiettivi molto precisi. Nel giro di 19 partite il Bari cambia pelle. Va a Lecce a giocare a testa alta e petto in fuori, come farebbe (e come ha sempre fatto durante la carriera) il suo allenatore. Va a Lecce per vincere pur giocando con una sola punta. Stadio Via del Mare strapieno, quasi 23.000 persone, più di 5.000 baresi accorsi a Lecce. Maglia blu per il Bari. Conte si affida alle sportellate di Santoruvo, al suo ultimo derby in maglia biancorossa, per aprire i varchi alle velocissime ali Lanzafame, annunciato in gran forma e cresciuto tantissimo sotto la guida del mister leccese e Kamata, piccolo e imprevidibile, già idolo dei tifosi. Bonanni, che solitamente gioca a sinistra viene lasciato libero alle spalle dell’unica punta. Il Bari parte benissimo e fa capire che non è venuto a Lecce a fare da comprimaria. Bonanni tira una bomba su punizione e Rosati devia in angolo, poi una bella triangolazione Santoruvo – Kamata – Santoruvo si conclude con l’atterramento in area di quest’ultimo. Niente rigore, proseguire please. La prima vera occasione del Lecce capita alla mezz’ora sui piedi di Zanchetta. Gran tiro da fuori area e palla fuori di poco con Gillet che controlla la traiettoria del pallone. Poi è ancora Bari con il rosso Gazzi che per poco non indovina un pallonetto all’incrocio. Anche il suo tiro finisce fuori di poco ma il Bari è più pericoloso, sicuramente meno nervoso e non ha nulla da perdere. Conte capisce che la bestia non è poi così nera e ad inizio secondo tempo mette dentro un’altra punta: Cavalli al posto dell’evanescente Kamata. La curva barese si fa sentire: noi vogliamo questa vittoria – cantano.
I tifosi ci credono, il mister ci crede, manca solo lo spunto del giocatore, l’invenzione, la giocata che rompe l’equilibrio. Quinto minuto del secondo tempo, non mi stancherò mai di rivederla quella giocata. Il Cristiano Ronaldo biancorosso, che per l’occasione indossa il numero 7 e si chiama Lanzafame, scherza Giuliatto sull’out destro a pochi metri dall’area di rigore. Sembra che il pallone sia destinato a fondocampo ma Lanzafame inventa un colpo di tacco alla Redondo grazie al quale sorpassa il difensore leccese e si invola verso il centro dell’area ormai nel cuore della stessa. Giuliatto non sa più cosa fare e accecato dalla rabbia per la giocata subita decide di stenderlo con un intervento da dietro che l’arbitro può soltanto punire con il rigore. Sul dischetto va Bonanni: portiere a destra e pallone a sinistra. La curva del Bari esplode, Conte alza i pugni al cielo, i giocatori iniziano a crederci. Il boato arriva fino al capoluogo. Il Lecce è scosso: Valdes prova un tiro dalla distanza, ma spara altissimo. Il Bari gioca in contropiede e colpisce ancora una volta. Cavalli riceve il pallone dalla difesa, avanza a grandi falcate, pallone alla destra del difensore e sprint a sinistra per riprenderlo. Entra in area dal vertice destro, si allarga per evitare i difensori e la porta diventa sempre più stretta, piccola, inaccessibile. Rosati copre il suo palo ma Cavalli decide di metterla proprio lì, tra palo e portiere. Zero a due e partita in ghiaccio. Ma il Lecce non ci sta: cross di Valdes, colpo di testa di Abbruscato e Gillet è miracoloso, in angolo. Papadopulo prova la carta Corvia ma l’occasione per riaprire la partita capita sui piedi di Tiribocchi. Piattone all’angolino a Gillet battuto. Ma il pallone finisce alto sopra la traversa. Il ritmo si fa serrato ma il Bari resiste, anche se è stanco. Al 40′ però Corvia, imbeccato da Valdes si trova il pallone tra i piedi nell’area piccola. Scavetto e gol del uno a due. Nella curva del Bari i minuti non passano mai. Io guardo l’orologio venti volte in 5 minuti, in piena trance agonistica. Sembra che da un momento all’altro possa arrivare il gol del pareggio ma nell’ultima occasione giallorossa Gillet è bravissimo a bloccare un tiro forte e teso di Tiribocchi. Il Lecce finisce in 10 uomini per l’espulsione di Corvia. Il Bari può festeggiare. Ha vendicato la sconfitta dell’andata e ha condannato il Lecce a passare attraverso le forche caudine dei play off. Che supererà brillantemente. Ma questa è una nuova storia e non ci riguarda.
ps: nella serata del 17 maggio Lanzafame fu contattato in diretta da Alfredo Pedullà, brillantissimo e preparatissimo giornalista di Sportitalia. Che gli consiglia di pensarci bene prima di lasciare Bari. Lanza sorride, prende tempo, ma ha già deciso. Vuole giocare in serie A. Andrà a Palermo ma a gennaio dell’anno dopo sarà lui a chiedere di tornare a Bari per contribuire alla promozione dei galletti in serie A. L’altra cosa curiosa è che alle 9 e 45 Lanzafame si trova ancora sul pullman con la squadra: “Ma che strada avete preso?” – chiede Pedullà in diretta. Lanza non risponde. Troppo felice, troppo preso da quel derby, da quei 5000 che lo hanno osannato, da una città che lo ha amato più di qualunque altra
Comments (0)