Skip to content

“C’era una volta il calcio”: intervista ad Aldo Serena

Aldo Serena nella sua carriera ha calcato i campi più importanti al mondo ed ha indossato le maglie di Inter, Juventus e Milan, vincendo con tutte e 3 le squadre lo scudetto. Ad oggi è un autorevole commentatore calcistico di Mediaset. Un’intervista nella quale, grazie alla sua veste di ex-calciatore ed a quella di commentatore, si analizza il calcio di una volta e quello del presente.

Buongiorno Serena. Secondo lei qual è la differenza tra il calcio di una volta e quello di oggi? A parte i soldi…

“Il calcio si evolve in continuazione. Quando io giocavo, i miei colleghi della generazione precedente dicevano che il calcio era cambiato e che noi prendevamo troppi soldi e che se ad esempio Mazzola e Di Stefano avessero giocato qualche anno dopo avrebbero guadagnato cifre folli. Difendevano il calcio in cui loro giocavano, ammettendo che era meno veloce e meno tecnico, ma che sicuramente era più bello. Sicuramente ad oggi penso che sia cambiata la preparazione atletica ma anche lo studio delle partite. Prima c’era un osservatore che stilava un rapporto sulle squadre avversarie, oggi con la tecnologia le partite vengono vivisezionate e durante gli allenamenti si usano i droni. Tra 20 anni spero continui questa rivoluzione tecnologica come accade negli altri campi della nostra società.”

Chi è stato l’allenatore che l’ha segnata di più?

“Trapattoni sicuramente è stato importante per me, mi ha portato con sé all’Inter e alla Juve. Con lui ho vinto sia alla Juve che all’Inter per 5 anni. Poi il mister che mi ha portato dalle giovanili alla prima squadra, dunque il primo che ha creduto in me, è stato Gianni Rossi. Mi ha fatto crescere e diventare il calciatore che sono stato. Anche Gigi Radice che mi ha voluto al Torino con sé è stato un pezzo importante della mia carriera calcistica.”

Chi sarà l’allenatore del futuro? 

“Sicuramente chi riuscirà ad avere continuità, gli allenatori che fanno le rivoluzioni spesso si bruciano in fretta. Ad esempio Guardiola resta un mito, ma dopo il Barcellona non ha più vinto nelle competizioni internazionali. Trapattoni è stato il modello del passato. Ha allenato per quasi 50 anni, è stato un ottimo psicologo, si è sempre adeguato ai tempi ed ha sempre sfruttato la sua esperienza. Inoltre, è un grande uomo di sport, sempre rispettoso verso gli addetti ai lavori, i giornalisti ed i tifosi. Ad oggi per me il modello vincente è quello di Klopp. Ha una capacità di sdrammatizzare che è unica, allevia la tensione nervosa dei calciatori. Mi ricordo quando andai a commentare la finale di Champions tra Bayern Monaco ed il suo Borussia Dortmund e lo vidi da vicino, riuscì a mantenere l’ambiente sereno e leggero nonostante la posta in palio.”

Ad oggi sarebbe possibile vedere una “piccola” squadra vincere lo scudetto? Insomma un Leicester italiano…

“Non credo. Il Leicester è stato un caso particolare ed aveva comunque una società ricca. Il nuovo Leicester poteva essere l’Atalanta anche per come interpreta il calcio. L’entusiasmo e la spavalderia che trasmette Gasperini sono pazzesche. Inoltre lui è un ottimo allenatore, molto bravo negli allenamenti. Sicuramente ai tempi in cui giocavo io c’era più alternanza. Vinsero il Napoli, il Verona, la Sampdoria e qualche anno prima il Torino. Ad oggi tutto ciò sarebbe altamente improbabile.”

Ad oggi c’è un calciatore in cui si rivede?

“Io avevo delle caratteristiche ben precise ed ho sempre fatto bene da punta centrale. Poi certo, ho ricoperto anche ruoli leggermente diversi, ma quello in cui mi trovavo meglio era da punta centrale. Per questo motivo mi sono rivisto molto in Luca Toni.”

Ad oggi quanto è cambiato il ruolo dell’attaccante?

“Molto, soprattutto per l’aiuto in fase difensiva. Difficilmente prima lo si faceva. Io lo feci nel Torino di Radice, perché lui voleva una squadra compatta e noi attaccanti ci sacrificavamo. Nonostante questa eccezione, prima noi attaccanti aveva il compito di far goal. Oggi invece la fase difensiva degli attaccanti è fondamentale. Diciamo che però l’atteggiamento dell’intera squadra è cambiato: gli attaccanti difendono, ma spesso 4-5 giocatori tra difesa e centrocampo accompagnano l’azione, cosa che prima non accadeva.”

Ad oggi molti giovani calciatori si perdono un po’, no esprimono tutto il loro talento. Secondo lei perché?

“Diciamo che il giovane che ha prospettiva viene gettato nella mischia anche in Serie A, quindi la sua opportunità ce l’ha. Ma i giovani vanno sostenuti e bisogna avere pazienza. Non si può sperare che dopo una partita favolosa un giovane calciatore possa subito avere la continuità. Poi nelle grandi squadre i giovani faticano perché c’è meno pazienza da parte di tutti, perché si vuole vincere subito. Le società dovrebbero avere più pazienza e cercare di cambiare questa cultura anche attraverso la comunicazione, spiegando anche il pubblico i validi motivi per puntare sui giovani.”

Che ricordi ha delle grandi sfide da calciatore contro il Napoli?

“Ho tantissimi ricordi di sfide avvincenti. Contro il Napoli sono sempre state sfide difficili. Una volta con l’Inter vincemmo 2-1 lo scontro diretto ed a fine stagione vincemmo lo scudetto. Ma ricordo anche che al San Paolo vinsi una sola volta da calciatore. Quando giocavo mi marcava Bruscolotti e le mie gambe se lo ricordano ancora. Ricordo che una volta nella stagione 1984-1985 col Torino vincemmo 3-0 contro il Napoli. Chiesi al mio amico Bagni cosa succedesse al Napoli perché eravamo tutti sorpresi della partita e del risultato. Fu una delle poche partite che ricordo con stupore perché di solito contro il Napoli ogni partita era una guerra. Il Napoli storicamente ha sempre fatto ottime partite contro le grandi, quello che è mancato per vincere qualcosa in più è stata la continuità contro le squadre medio-piccole.”

Giovanni Frezzetti

Comments (0)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su