Contropiede Azzurro

Christian Eriksen: “Ricordo tutto. Tranne quei minuti in cui ero in Paradiso”

Sul sito Inter News, The lost minutes”, ovvero i ‘minuti perduti’: questo il titolo dell’intervista realizzata dal Brentford con Christian Eriksen, fresco di nuovo debutto in Premier League dopo quel maledetto 12 giugno. “Potevo vedere il Parken dalla mia stanza e sentire gli applausi dal mio letto d’ospedale”, ha ricordato il danese riportando la sua mente a quel giorno, quando fu colto da malore in campo al 40′ di Finlandia-Danimarca a Euro 2020.

“Non avrebbero dovuto giocare, non dopo quel trauma – ha aggiunto il centrocampista -. Non sapevo cosa fosse successo, non mi ero reso conto di cosa avessero visto. Quando mi sono risvegliato ho sentito che i medici premevano su di me, ho lottato per respirare, poi ho sentito voci deboli e dottori che parlavano. Stavo pensando che non posso essere io quello sdraiato qui, sono in buona salute. Il mio primo pensiero è stato di essermi rotto la schiena. Posso muovere le gambe? Posso muovere le dita dei piedi? Piccole cose del genere. Ricordo tutto. Tranne quei minuti in cui ero in Paradiso. Quando mi sono svegliato dalla rianimazione, è stato come svegliarmi da un sogno, ero lontano. Di solito, ricordi frammenti di un sogno, ma non ricordo nulla di quando sono svenuto. Ho lottato per respirare e lentamente ho visto i dottori che mi circondavano e ho sentito le loro voci. Quando il nostro cardiologo ha detto che avevo 30 anni, l’ho corretto e gli ho detto: ‘Ehi, ho solo 29 anni!’. Ho ripreso conoscenza subito. Ricordo l’atmosfera. Il cordone intorno a me per proteggermi. Ho alzato lo sguardo e ho visto i fan cantare. Sono stato portato via in ambulanza, me lo ricordo bene. Fino a quel momento non mi sono reso conto di essere morto. Uno dei paramedici ha chiesto al medico della squadra: ‘Per quanto tempo è rimasto privo di sensi?’. Il nostro medico ha risposto: ‘Da tre a quattro minuti’.

Dopo il suo ricovero in ospedale, Christian ha rivissuto quei momenti drammatici prima di subire un intervento chirurgico per inserire un defibrillatore cardiaco sottocutaneo: “Ho rivisto quello che mi è successo – racconta l’ex Inter -. La prima volta è stata quando ero in ospedale. Erano passati un paio di giorni prima che vedessi la scena vera e propria in cui collasso. Mi ha infastidito un po’; non c’erano segni che ciò sarebbe accaduto, quindi perché è successo? È stata una cosa molto strana da affrontare. Volevo fare tutti i test e parlare con tutti i medici per vedere se ci fosse la possibilità di tornare a giocare. Ma da allora, credo che meno di una settimana dopo, mi hanno detto ‘hai un defibrillatore, ma per il resto non è cambiato nulla, puoi continuare a vivere una vita normale e non c’è limite a ciò che vuoi fare’. È stato un sollievo, ma anche strano perché non volevo esagerare, non volevo correre rischi, quindi è per questo che sto facendo molti test per assicurarmi che vada bene. Quello che sto facendo ora non mi influenzerà tra 30 anni e quello era l’obiettivo principale. Se mi dicono che qualcosa è cambiato, allora sarà diverso. Non vedo alcun rischio. Ho un defibrillatore, se succede qualcosa sono al sicuro. Con quello non ci sono limiti; le persone possono correre maratone, fare immersioni profonde”.

E infatti, dopo aver risolto il suo contratto con l’Inter, poco prima di Natale è arrivata una telefonata dal suo ex allenatore della Danimarca under 17, Thomas Frank, per capire la sua disponibilità a giocare nel Brentford: “La prima chiamata è stata solo per salutarmi e chiedermi come stessi. Voleva sapere dove fossero i miei pensieri in termini di ritorno al calcio. È stata una buona telefonata e da lì la cosa è decollata. Abbiamo detto che ci saremmo tenuti in contatto per vedere cosa sarebbe successo. E’ sempre lo stesso, ha gli stessi capelli di una volta (ride ndr). Per me è difficile ricordare quei giorni, ero molto, molto giovane, ma abbiamo avuto dei bei momenti e delle belle vittorie. All’epoca avevamo una buona squadra. Averlo ora come mio allenatore è come aver chiuso un cerchio. Sono felice che sia lui l’allenatore. Ho parlato con Thomas alcune volte. Ho avuto una buona sensazione. Londra è un buon posto dove stare, un buon posto per la mia famiglia. Sto giocando in Premier League. Il Brentford era il miglior mix; dall’esterno sembrava molto familiare e un buon posto di lavoro”.