Contropiede Azzurro

E’ caruto ‘o Banco ‘e Napule

Ovvero quando Hasse Jeppson, svedese sciupafemmine costato 105 milioni al Napoli di Lauro, iette cu ‘o culo nterra nella prima partita allo Stadio del Sol

Ormai è storia il «ti compro pure Eusebio, così vinciamo la Coppa dei Campioni e tu rimani famoso in eterno» la promessa che Nino Manfredi, in Operazione San Gennaro fa a faccia gialluta che deve acconsentire a farsi rubare il tesoro. Eppure, quella storia del tifoso napoletano che  era disposto a spendere “una cifra” per comprare un giocatore che facesse vincere un trofeo prestigioso alla squadra del cuore, il Napoli, un fondo di verità ce l’aveva. E si chiamava Hasse Olof Jeppson, svedese, sciupafemmine, non solo ottimo calciatore ma anche straordinario tennista, tanto da essere inserito tra le dieci migliori racchette del suo pase, appena diciottenne. Insomma una sorta di Borg quando Borg ancora non era nato. Epperò, il tizio, poiché teneva anche un bel tocco di piede e di capa, scelse definitivamente il calcio. Diventando l’idolo dei suoi conterranei quando vince la classifica dei cannonieri, ventiseienne, nel campionato del 1950. Da allora, gli occhi degli osservatori lo puntano. Arriva in Italia e, udite udite, gioca nell’Atalanta. Il comandante Lauro, che è intanto diventato sindaco di Napoli a botta di pacchi di pasta elargiti senza sparagno, come raccontavano i suoi nemici politici e i detrattori, invidiosi della sua vittoria plebiscitaria,  su consiglio dell’allenatore di allora, Monzeglio, piazza la richiesta a quelli di Bergamo: “mi vendete a Jeppson”. Risposta: “75 milioni sull’unghia ed è vostro”, pensando di fare paura a don Achille. Ma il comandante che sape come investire e farsi volere bene da Napoli, non solo sborsa la cifra, iperbolica per l’epoca, ma ci azzecca pure altri 30 milioni che vanno a ingrassare il conto svizzero dello svedese. E così, Jeppson, da “Hasse guldfut” piededoro, come era chiamato prima, a Napoli diventa mister 105 milioni. Di più: quando nella prima partita con la maglia azzurra, in casa, ‘o svedese in una fase di gioco viene sgambettato e va dritto dritto a terra… una voce, nel silenzio dello stadio che è ammutolito temendo chi sà che cosa, si alza terribile: “è caruto ‘o Banco ‘e Napule”, perché era corsa voce che quei 105 milioni sborsati da don Achille fossero stati appunto anticipati dall’istituto di Credito napoletano. Voci. Dicerie. Chiacchiere da bar sport davanti a uno Stock, come diceva la pubblicità di tanti anni fa.  E chi lo sa. E chi lo può sapere. Una cosa è certa però: ‘o Banco ‘e Napule, quello vero,  nun  carette. Era solido in tutto. Cadde il “banco di napoli” piccerillo, Hasse Jeppson, svenduto dal comandante al Torino, qualche anno dopo, perché invece di correre appresso al pallone gli piaceva corre appresso alle sottane. E allora? allora come cantava Murolo appunto in “E allora”… cca ce vò ‘o banco ‘e Napule … carissima signora”. Ma  Jeppson nun ‘o teneva.