Come riporta Calcio e Finanza, anche la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Robinho e del suo amico Ricardo Falco a nove anni di carcere per violenza sessuale di gruppo su una ragazza che all’epoca, nel 2013, aveva 23 anni.
I legali del giocatore brasiliano ex Real Madrid e Milan ritenevano il rapporto «consensuale», ma la suprema corte ha respinto il ricorso presentato. Agli atti infatti ci sono alcune telefonate in cui il giocatore, mentre descrive la serata, racconta: «Sto ridendo perché non mi interessa, la donna era completamente ubriaca, non sa nemmeno cosa sia successo».
La condanna in primo grado risale al 2017, ed era già stata confermata in Appello a Milano. Le prime intercettazioni avevano portato il Santos a mettere Robinho prima fuori rosa e poi svincolarlo. Ora il tema riguarda l’estradizione dal Brasile. Già due anni fa il ministro della Famiglia e dei Diritti Umani di Brasilia, Damares Alves, aveva espresso parere favorevole: «Vedendo le trascrizioni di ciò che è avvenuto mi ha provocato nausea e voglia di vomitare. È stato molto brutto aver letto quello che ho letto, soprattutto da un calciatore come lui. Parliamo di un crimine e l’aggressore non merita alcuna considerazione. Non dobbiamo fare alcuna concessione solo perché è un giocatore. Deve scontare la sua pena, lì o qui, immediatamente».
Tuttavia il problema dell’estradizione sussiste e la Gazzetta dello Sport scrive: “Vedremo gli sviluppi anche se, nonostante la condanna definitiva, Robinho e Falco non possono essere estradati in Italia, poiché la Costituzione del 1988 vieta l’estradizione dei brasiliani. Inoltre, il trattato di cooperazione giudiziaria in materia penale tra Brasile e Italia, firmato nel 1989 e tuttora in vigore, non prevede l’applicazione in territorio brasiliano di una condanna imposta dalla giustizia italiana. Robinho e Falco, quindi, corrono il rischio di essere arrestati solo se viaggiano all’estero, non necessariamente in Italia. Per questo lo Stato italiano deve emettere un mandato d’arresto internazionale che potrebbe essere eseguito, ad esempio, in qualsiasi Paese dell’Unione Europea”.
L’avvocato della vittima, Jacopo Gnocchi, ha commentato così la sentenza, presentando ricorso alla giustizia brasiliana: “Più di 15 giudici hanno esaminato il caso in primo, secondo e terzo grado e hanno confermato la relazione del mio cliente. Adesso bisogna vedere come sarà l’adempimento di questa sentenza, il Brasile è un grande Paese e spero che sappia come affrontare questa situazione”