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Qatar ’22, spettatori in Tv dal 21 novembre al 18 dicembre

ITALIA-MACEDONIA  0-1  – Disfatta. Con l’immagine di Ventura che si sovrappone a quella di Mancini per due lunghissime pagine da dimenticare. Una partita, quella con la Macedonia, affrontata dall’Italia come una pratica da sbrigare per affrontare poi la vera finale. E invece, anche per l’Italia può esserci un Verona che sbarra la strada in un percorso diventato ora innaturale. Ancora, e per la seconda volta, l’Italia non giocherà il Mondiale con l’obbligo di ricorrere al passato per ritrovare un’emozione che soltanto quelle immagini (2006) possono donare.

Da domani inizierà il Processo all’Italia cercando i colpevoli di questa disfatta che costringe gli azzurri a tornare a casa, ciascuno a curare il proprio orticello. Colpa di Donnarumma? Di Barella? Di Jorginho?  In una superficiale analisi si possono trovare cento motivi per individuare in Dommarumma il colpevole. Oppure in Berardi che non ha sfruttato le occasioni. O in Barella che non ha retto il centrocampo, né ha fornito in attacco palle giocabili.

Resta un’eliminazione che non era neanche immaginabile pur sapendo che tutti i convocati non erano al top; ma sarebbe stata la finale con il Portogallo la partita che avrebbe fatto vibrare e tenerti sveglio fino all’ultimo secondo. Uno stadio gremito che ha spinto l’Italia fino a cantare l’inno a pochi minuti dal termine. Un primo tempo con un’Italia all’attacco senza attaccare. Con calci d’angolo sterili. Con tanta imprecisione nei tiri ribattuti sistematicamente da un piede o una coscia di un giocatore macedone e con una palla gol clamorosa fallita da Berardi. E nulla cambia nel secondo tempo quando ancora Berardi si fa annullare un tiro dal portiere. Confusi più di prima arriva al 92° una punizione che va al di là dei demeriti con  Trajkovski che trova la diagonale che beffa Donnarumma, ma soprattutto l’Italia.

Doveva essere una serata di festa, ma sono i 1600 macedoni a cantare e ad alzare le bandiere.

E ora? Le sole riflessioni non bastano, occorre che la politica del calcio capisca che è il momento di intervenire sulle scuole calcio, sui bilanci di club e soprattutto sulla trasparenza.

 

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