
Un capitano, c’è solo un capitano, Insigne sorride ma resta una pedina di un gioco al rialzo
Adesso i tifosi tutti sono dalla sua parte e in coro cantano: “Un capitano, c’è solo un capitano”. Per Lorenzo Insigne, forse il giorno tanto atteso un’intera carriera. Doveva brillare in Nazionale perché tutti lo facessero sentire a casa proprio in un momento difficile per le scelte cui è chiamato. A trent’anni può ancora dare molto ma quella maledetta partita condiziona la società intera, dal presidente ai magazzinieri passando per i giocatori. E in Europa si sta instaurando un perverso meccanismo: “Chi offre di più?” e i giocatori sono pedine di un gioco al rialzo che sta minando il calcio.
L’annuncio della Superlega era lo squillo che faceva temere questo squilibrio e non sarà facile abbassare le pretese per chi ha conosciuto il mondo dorato e vuole restarci.
La vicenda Messi così come quella di Lukaku sono un esempio che qualcosa di grave è accaduto nel sistema. Quando a marzo si certificò la “fine del Fair Play Finanziario” si capì che nessuno era pronto a fare un passo indietro e sul Corriere dello Sport si leggeva: “Il Fair Play Finanziario è morto. Inutile girarci intorno, dire che sarà rimodulato, aggiornato o adattato al momento storico: il suo architrave, l’obbligo del pareggio di bilancio, non è più sostenibile perché non si può sanzionare un intero settore se nessuno riesce più a rispettarne le norme. Tutti colpevoli, nessun colpevole. Non si può imporre alle società di pareggiare i costi con i ricavi se questi sono distrutti da uno shock mondiale e asimmetrico, perché penalizza alcuni più di altri ma colpisce in pieno certi settori. Quando un’azienda perde fatturato deve tagliare i costi, ma se tutti perdono fatturato non possono tagliarli nello stesso momento, soprattutto se due terzi sono rappresentati da stipendi garantiti da contratti pluriennali. Le società possono fare cassa vendendo i giocatori, ma se tutti i potenziali acquirenti sono alla canna del gas non sanno a chi darli. Questa è la realtà e oggi l’Uefa ne prende atto. Però è sbagliato attribuire il fallimento del Fpf solo al Covid che, in fondo, ne certifica solo l’inattuabilità. L’Uefa dice che ha migliorato la salute del football europeo perché in dieci anni il sistema calcio ha ridotto i debiti e rafforzato il patrimonio.”
Ora molti grandi club in tutta Europa sono in deficit ma gli ingaggi restano altissimi e insostenibili: Dybala non ha raggiunto un’intesa ma si parla di 10 milioni; Pjanic (31 anni) ragiona sugli 8,5 milioni; di Ronaldo, meglio non parlare; Ibrahimovic si accontenta di 7 milioni e chi ha un ingaggio di 2/3 milioni punta al rialzo. Il Covid ha acuito una crisi già esistente ma il prossimo campionato non basterà a sanare i bilanci. La campagna abbonamenti non è partita e il caos dei diritti Tv (Sky, Dazn, Amazon, Tim Vision, Infinity) non invoglia i tifosi.
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